Domus Aprile 2017 apertura Rassegna “Arredi”
marzo 22, 2017
Credo sia di grande attualità oggi rileggere il concetto di domesticità, ovvero di elementi che attengono alla casa, proprio perché l’avvento del moderno ha sempre di più negli anni impoverito tale significato. L’architettura cosiddetta ”moderna” ha inaridito lo spazio domestico impoverendolo dal punto di vista delle funzioni e cancellando ”cortesie” che la casa di fine ottocento aveva nel corso dei secoli guadagnato. L’impressionate elenco di luoghi del domestico catalogati in modo preciso e dettagliato da Cristopher Alexander nel suo libro del 1977 ”A Pattern Language” * rimetteva in evidenza le tante tipologie di luoghi e di arredi connessi allo spazio architettonico, in buona parte cancellati dal dogma miesiano del ”less is more”. Alexander oltre ad elencare luoghi del domestico, scendendo di scala, ci ricordava architetture d’interni in cui lo stare alla finestra a leggere un libro, o l’attendere il padrone di casa in un corridoio, o il dormire in una nicchia ricavata in un muro, erano elementi centrali dello spazio domestico. Luoghi autentici che rendevano l’esperienza di un’architettura memorabile, speciale. Se dovessimo analizzare nel dettaglio le diverse posture che l’uomo può o dovrebbe poter assumere all’interno del proprio spazio domestico ci renderemo subito conto di quanto abbiamo perso. Questo impoverirsi dello spazio architettonico ha semplificato il lavoro del progettista, proprio com’è avvenuto ad esempio con l’uso del faretto incassato dove l’architetto non ha più dovuto scegliere la lampada intonata all’ambiente per forma e tipologia ma ne ha cancellato la presenza infilandola nel controsoffitto. La stessa cosa è avvenuta nella modulazione dello spazio. In Italia più che altrove si era compreso che alcune funzioni dell’abitare dovevano essere assicurate all’abitante attraverso una modulazione dello spazio architettonico più che da un arredo o da una serie di mobili aggiunti ad esso. Ponti, Gardella, Caccia Dominioni e molti altri ancora, avevano reso unico l’approccio italiano all’abitare. La finestra attrezzata di Gio Ponti ne è stata un esempio eloquente e limpido. In questo momento occorre ricordare tali esempi, rivedendo, meglio rivisitando ”al vero” architetture ancora parlanti, messaggere di tale approccio: le milanesi Villa Necchi Campiglio o Casa Boschi di Stefano di di Piero Portaluppi ne sono brillanti esempi.
Oggi non essendo più lo spazio architettonico contemporaneo capace di disegnare l’abitare è forzatamente l’arredo a dover sopperire a tale mancanza, ed è sempre più evidente che le tante sfaccettature dello ”stare a casa” sono sempre meglio delineate, anno dopo anno, da chi progetta mobili. Ci piace pensare quindi non tanto a designer che disegnano un prodotto industriale ma ad architetti che ricostruiscono architettonicamente con i loro pezzi d’arredo le mille sfumature del nostro vivere l’interno domestico. Trovo giusto sottolineare che nella contemporaneità i più attendi architetti designer, si siano già allineati a tale trasformazione, disegnando pezzi d’architettura, elementi capaci di produrre luoghi, di sottolineare posture dimenticate, di provocare atteggiamenti di ”cortesia domestica”. E’ proprio questa l’essenza del ”Made in Italy” che i progettisti italiani esportano nel mondo, non solo prodotti seriali ma oggetti capaci dei raccontare il modo unico di vivere all’italiana.
*Christopher Alexander, A Pattern Language: Towns, Buildings, Construction,
Oxford University Press, USA, 1977