*Intonacatura di calce e terre locali
aprile 21, 2017
aprile 21, 2017
marzo 28, 2017
giugno 27, 2015
“Ed eccomi subito a pregarla: legga il meno possibile testi di critica estetica; sono o congetture faziose, fossilizzate e oramai prive di senso nel loro rigore senza vita, oppure abili giochi di parole, in cui oggi prevale una opinione e domani quella opposta. Le opere d’arte sono di una solitudine infinita, e nulla può raggiungerle meno della critica. Solo l’amore le può afferrare e tenere e può essere giusto verso di loro. Dia ogni volta ragione a se stesso e al suo sentimento, contro ognuno di quei dibattiti, commenti o introduzioni; e se pure dovesse avere torto, la naturale crescita della sua vita interiore la guiderà a poco a poco e col tempo verso altre intuizioni. Lasci ai suoi giudizi il loro quieto e indisturbato sviluppo, che, come ogni progresso, deve venire dal profondo, e non può essere in alcun modo incalzato o affrettato. Tutto è condurre a termine e poi partorire. Lasciare che ogni impressione e ogni germe di un sentimento si compia tutto dentro, nell’ombra, nell’indicibile e inconscio e inattingibile alla propria ragione, e con profonda umiltà e pazienza attendere l’ora della nascita di una nuova chiarezza: questo solo significa vivere d’artista: nel comprendere come nel creare.
Qui non serve misurare con il tempo, a nulla vale un anno, e dieci anni non son nulla. Essere artisti significa: non calcolare o contare; maturare come l’albero, che non incalza i suoi succhi e fiducioso sta nelle tempeste di primavera, senza l’ansia che dopo possa non giungere l’estate. L’estate giunge. Ma giunge solo a chi è paziente e vive come se l’eternità gli stesse innanzi, così sereno e spensierato e vasto.”
Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta, Mondadori 1994
gennaio 13, 2017
“…Oggi, dopo anni di lavori, una casa me la sono disegnata e costruita; ed è semplice come un arnia per api: comoda e tiepida; silenziosa ai rumori molesti che sono lontani e vicina ai rumori della natura; con finestre che guardano lontano, le cataste di legna sulle mura al sole e, oggi, con la neve sul tetto, sulle betulle e sugli abeti del brolo, sulle arnie, sul canile. E dentro nel tepore mia moglie, i miei libri, i miei quadri, il mio vino, i miei ricordi…”
Mario Rigoni Stern da Amori di confine, Einaudi, Torino 1986
gennaio 14, 2017
“A Roma, durante i lunghi pranzi ufficiali, mi è accaduto di pensare alle origini relativamente recenti del nostro lusso; a questo popolo di coloni parsimoniosi e di soldati frugali, satolli d’aglio e di orzo, improvvisamente immersi dalla conquista nelle delizie della cucina asiatica che ingozza manicaretti con la voracità rustica dei contadini. I nostri romani si rimpinzano di cacciagione, s’inondano di salse, e s’intossicano di spezie. Un Apicio va fiero della successione di portate, di quella serie di vivande piccanti o dolci, grevi o delicate, che compongono l’armonica disposizione dei suoi banchetti; e passi ancora se ciascuno di tali cibi fosse servito separatamente, assimilato a digiuno, sapientemente assaporato da un buongustaio dalle papille intatte. Ma serviti così, giornalmente, alla rinfusa, in mezzo a una profusione banale, essi formano nel palato e nello stomaco di chi mangia una confusione detestabile, nella quale odori, sapori, sostanze perdono il loro rispettivo valore, la loro squisita identità. Un tempo quel povero Lucio si dilettava a prepararmi qualche piatto raro; i suoi pasticci di fagiano, dove prosciutto e spezie vanno sapientemente dosati, erano il risultato di un’arte, esattamente come quella del musico o del pittore; eppure rimpiangevo la carne pura e semplice del bel volatile. (altro…)
settembre 23, 2014
Imparare ad ammorbidire il marmo con grande eleganza. Si dice che vedendo le due spalle appena realizzate il Portaluppi le prese a martellate per sbeccarle e dar loro un aria un po’ più vissuta.
settembre 22, 2014
L’immagine presa sul cantiere di Via Giannone questa mattina mostra lo spazio giorno a doppia altezza a demolizioni ultimate. Le fodere di legno, posate in orizzontale sulle colonne, simulano la presenza del soppalco che verrà realizzato in struttura metallica.
settembre 19, 2014
“Selvatichezza o rudezza… in riferimento all’architettura dei paesi nordici; ma presumo che lo si sia usato in senso critico per esprimere la natura barbarica delle genti presso le quali fiorì questa architettura…sia le genti che i loro edifici facevano mostra di una tale grossolanità e durezza… questa maestà d’un potere gagliardo, tanto più vigorosamente espresso, quanto più il tatto delle dita è reso insensibile al vento gelido…”
John Ruskin La natura del gotico in “Le pietre di Venezia”
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